Tre tecniche di coltivazione che mirano a sviluppare in maniera totalmente sostenibile una maggiore produzione agricola in uno spazio minore
La coltivazione idroponica
Se è vero che il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova l’agricoltura tradizionalmente intesa, è altrettanto vero che le soluzioni ingegnose non sono mancate. Sarà infatti capitato a molti di voi di sentire parlare della coltivazione idroponica.
Per coltivazione idroponica (dal greco antico hýdor, acqua + pónos, lavoro) si intende una tecnica di coltivazione fuori suolo o senza suolo, dove la terra è sostituita da un substrato inerte, come argilla espansa, fibra di cocco, lana di roccia o zeolite. Il termine racchiude quindi tutte quelle coltivazioni attuate in assenza del comune terreno agrario in cui il rifornimento di acqua ed elementi nutritivi avviene attraverso la somministrazione di una soluzione fatta di acqua e di nutrienti disciolti in essa.
Viste queste caratteristiche si capisce come la coltivazione idroponica costituisca una preziosa risorsa per la produzione di cibo anche in quei Paesi in cui le terre coltivabili scarseggiano a causa di condizioni climatiche non favorevoli. Un tassello fondamentale, quindi, sia per la sostenibilità che per la food security.
Affinché questa coltivazione sia funzionale bastano una pompa e un timer per far circolare i nutrienti. In verità, le radici possono anche essere coltivate in sospensione nebulizzando la soluzione nutritiva come avviene nel caso di una coltura aeroponica, che vedremo fra poco; altrimenti, più classicamente, le piante vengono irrigate tramite gocciolatoi che garantiscono una corretta dispersione dei nutrienti.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’idroponica consente un notevole risparmio di acqua: infatti, si fonda interamente su un sistema chiuso che ricicla l’acqua e la riutilizza per la stessa pianta. Stando a quanto rilevato da Sfera Agricola (un’azienda in provincia di Grosseto specializzata nella produzione di pomodori, insalate ed erbe aromatiche in serra idroponica) e confermato da numerose altre aziende italiane ed estere come la FruitHydroSinni di Policoro e l’AeroFarms di Newark, per un chilo di pomodori è necessario il 97% in meno di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale in campo aperto.
Ad oggi sono diversi gli alimenti provenienti da agricoltura idroponica in commercio, come ad esempio pomodori, peperoni, cetrioli, ma anche tutte le verdure a foglia verde quali la bietola, le insalate di IV gamma, il lattughino, la rucola e così via.
Anche se viene considerata una tecnica del futuro, in realtà la coltivazione idroponica ha (letteralmente) radici lontane nel tempo: pare addirittura che risalga ai giardini pensili di Babilonia del VII secolo a.C. Ironico pensare che si sia guardato tanto al passato per trovare nuove metodologie in grado di garantire una lunga vita all’agricoltura e alle risorse della terra.
L’agricoltura aeroponica
L’agricoltura aeroponica cammina accanto all’idroponica in quanto a sostenibilità. Come essa, infatti è un tipo di coltivazione in serra che si attua in completa assenza di terreno, senza utilizzare alcun tipo di substrato.
Anche nell’aeroponica le piante vengono nutrite attraverso un sistema che nebulizza le sostanze nutritive disciolte nell’acqua, ma a differenza dell’idroponica sono sostenute artificialmente cosicché i nutrienti nebulizzati vengono assorbiti direttamente dall’apparato radicale della pianta. Inoltre, il fatto che le radici siano sospese in aria permette di incrementare il livello di ossigenazione dell’apparato radicale, fondamentale per lo sviluppo della pianta.
Il grande vantaggio è dato dalla chiusura di questo sistema: come per l’idroponica, il fatto che la coltivazione si svolga nell’ambiente chiuso e controllato della serra garantisce la totale assenza di agenti patogeni. Questo fa sì che non si utilizzino, se non limitatamente, agrofarmaci per preservare la salute delle piante coltivate. Inoltre, i valori nutrizionali degli alimenti provenienti da agricoltura aeroponica e idroponica risultano praticamente invariati rispetto a quelli dei cibi coltivati con metodi più tradizionali.
Per quanto molto più “recente” dell’idroponica, anche la coltivazione aeroponica viene dal passato: fu infatti W. Carter nel 1942 che per primo studiò la coltivazione dell’aria e descrisse un metodo per coltivare piante nel vapore acqueo per facilitare l’esame delle radici; dobbiamo invece a F.W. Went nel 1957 l’invenzione del termine “aeroponica” per designare il tipo di coltivazione attuata con radici sospese in aria alimentate con una nebbia nutritiva.
L’agricoltura subacquea
Stavolta facciamo davvero un salto nel futuro, perché è solamente grazie al costante ed esponenziale sviluppo della tecnologia dell’ultimo decennio che l’agroalimentare ha potuto trovare nell’ambiente oceanico un prezioso alleato.
A suo modo, anche l’agricoltura subacquea può essere considerata una tipologia di coltivazione idroponica, dal momento che si svolge in assenza di terreno; tuttavia, l’ulteriore salto in avanti rispetto alla classica coltivazione idroponica è dato dal fatto che i fondali marini sono un frigorifero naturale per conservare cibi e bevande a lungo e a costi molto bassi, con un dispendio energetico praticamente pari a zero.
In Italia il progetto ligure Nemo’s Garden sta facendo da apripista in questo settore: questi “giardini subacquei” sono costituiti da biosfere galleggianti, immerse sotto la superficie del mare e fissate a circa 5-10 metri di profondità. Al loro interno si trovano circa 2.000 litri d’aria che sfruttano la combinazione di acqua fresca e luce solare calda per mantenere costante l’umidità e il calore. Tutti i parametri quali anidride carbonica, ossigeno, pressione, temperatura, umidità sono monitorati costantemente da sensori appositamente inseriti nei giardini subacquei. Nelle ore diurne, la luce diretta del sole viene filtrata dalla massa d’acqua sopra le sfere in modo tale da arrivare in maniera diffusa alle coltivazioni.
Se si pensa che il 70% della crosta terrestre è composta d’acqua si può riuscire a immaginare che tipo di imperdibile opportunità costituiscano queste tipologie di coltivazioni.
Come per l’idroponica e l’aeroponica, anche nella subacquea sono utilizzati dei sistemi protetti e chiusi, inattaccabili dai parassiti aerei. È inoltre una tecnologia sostenibile, anzi autosostenibile: infatti, consente una drastica riduzione di CO2 e un significativo abbattimento dei costi energetici, dal momento che l’energia necessaria al funzionamento dei sistemi è interamente ottenuta dal Sole. Sono inoltre gli stessi raggi solari che, generando una condensa, contribuiscono al nutrimento e all’idratazione delle piante presenti all’interno delle biosfere galleggianti.
Pare inoltre che si stia valutando anche la possibilità di produrre fertilizzanti bio a partire dalle stesse alghe presenti dove verrebbe installata la serra sottomarina, per incentivare ancora di più l’autosostenibilità dell’intero sistema.
Tutte le tecniche di coltivazione di cui abbiamo parlato, più o meno sperimentali che siano, si pongono l’obiettivo di sviluppare in maniera totalmente sostenibile una maggiore produzione agricola in uno spazio minore, così da poter soddisfare la domanda di mercato sempre più crescente e dimostrando che il settore alimentare, da sempre, è in prima fila nel rispetto del nostro Pianeta.