Ora si punta a minare le fondamenta scientifiche, l’affidabilità delle soluzioni e, anzi, spiegare che in fondo non va poi così male
L’obiettivo è mettere in dubbio l’efficacia delle soluzioni energetiche rinnovabili. Ma soprattutto, spiega un allarmante studio del Center for countering digital hate – un’organizzazione no-profit britannica con sedi a Londra e Washington D.C. – fare un salto in termini di negazionismo climatico. Visto che l’innalzamento delle temperature è ormai innegabile, i 12mila video pubblicati su YouTube analizzati dall’indagine puntano a normalizzare, cioè a spiegare che in fondo le conseguenze del global warming sono innocue se non addirittura benefiche. Oppure che le varie discipline che studiano il clima non sono affidabili. O ancora – il tema principale di questa ondata negazionista – che le soluzioni proposte non funzionano.
Il grosso si concentra per esempio sul peso complessivo della produzione dei veicoli elettrici, spostando il focus dai consumi dei veicoli al ciclo produttivo e di vita (che pure, secondo l’Environmental Protection Authority statunitense e molti studi rimangono comunque più bassi, appunto anche contando la produzione dei veicoli).
Questo tipo di pseudo-contenuti riguarda fino al 70% delle falsità contenute nei video indagati e pubblicati sulle due piattaforme per un lungo periodo – nel 2018 era il 35%: l’indagine è andata in profondità fino a sei anni (dal 2018 al 2023) e si è avvalsa anche di strumenti di intelligenza artificiale per campionare e classificare le argomentazioni impiegate nelle clip pubblicate da 96 canali. Nel complesso questi video hanno accumulato qualcosa come 325 milioni di visualizzazioni. Il gruppo di esperti che ha firmato il rapporto, guidati da Travis Coan, docente di scienze sociali computazionali all’università di Exeter, in Inghilterra, sottolineano appunto questo aggiornamento del repertorio.
In un’epoca in cui gli eventi estremi e l’innalzamento delle temperature sono innegabili anche dai più strenui oppositori, la dinamica è cambiata: nel corso degli anni sono infatti diminuiti i video in cui si rispolverava il vecchio adagio delle ondate di freddo o di neve per negare i cambiamenti e aumentati quelli che, invece, hanno lo scopo di rendere tutto ciò che viviamo in qualche modo normale. O comunque affrontato con i mezzi sbagliati, come per esempio gli allarmismi sulla diffusione delle pale eoliche per produrre energia rinnovabile dal vento, che porterebbero – secondo alcune organizzazioni negazioniste – all’eliminazione di metà delle foreste globali. Quando le stime – come spiega anche il Financial Times – dicono che il passaggio al solare e all’eolico impiegherebbe superfici comparabili all’attuale impronta del complicato settore delle industrie fossili dall’estrazione alla raffinazione fino allo stoccaggio.
L’indagine ha anche messo in evidenza una serie di realtà specializzate e molto attive – oltre che molto seguite – come The Blaze, una media company con quasi due milioni di iscritti al proprio canale YouTube fondata da un ex presentatore di Fox News, Glenn Beck. Per capirci, secondo questa piattaforma il riscaldamento globale non avrebbe nulla a che vedere con i numerosi incendi che colpiscono ogni estate larghe parti degli Stati Uniti e neanche con quello che ha raso al suolo metà dell’isola di Maui lo scorso agosto, con la distruzione dell’antica cittadina di Lahaina. Secondo Beck, come molti altri, il cambiamento climatico è strumentalizzato come pretesto per imporre ai cittadini maggiori controlli e per portare avanti la strampalata teoria del Grande reset, che da piano di ripresa post-Covid presentato nel 2020 è diventata nel tempo un nuovo caposaldo del complottismo mondiale.
Ma, a parte i soliti deliri, cosa ne esce? Che, come riporta il Guardian citando un sondaggio di Survation incluso nel rapporto, ne esce che alla fine un terzo degli adolescenti britannici ritiene che gli allarmi sul cambiamento climatico siano “esagerati”. Percentuale che sale al 37% fra gli utenti più accaniti dei social media, quelli che ci trascorrono più di quattro ore al giorno. Serve quindi, spiega il Cchd, che i governi investano di più e meglio nella comunicazione su come mitigare gli effetti del cambiamento climatico e, anzi, su come provare a contrastare abitudini dannose. Difficile farlo in un meccanismo capitalista piena di contraddizioni e ipocrisie. Youtube è corsa ai ripari già da tempo impedendo la monetizzazione e la diffusione di simili contenuti, lo sappiamo, spesso in modo molto efficace. Anche se secondo il gruppo di ricerca il repertorio cambia continuamente e ci sono video che riescono a superare queste barriere. O altri, più sottili, sfuggiti all’analisi dell’AI.
“Gli scienziati hanno vinto la battaglia per informare l’opinione pubblica sul cambiamento climatico e sulle sue cause – ha spiegato Imran Ahmed, chief executive del Ccdh – ecco perché chi vi si oppone ha cinicamente cambiato focus puntando a minare la fiducia nelle soluzioni e nella scienza stessa che ne è alla base”.
Fra gli altri esempi inclusi nel report ci sono Jordan Peterson (7,64 milioni di iscritti) e PragerU (3,21 milioni). “È ora che le piattaforme digitali rifiutino di amplificare o monetizzare questi contenuti di negazionismo climatico che distruggono la fiducia nella nostra capacità collettiva di risolvere la più importante sfida per l’umanità” ha aggiunto Ahmed.